Diplomazia Culturale e Pace On. Monica Baldi

7 Feb 2022 - Cultura

Diplomazia Culturale e Pace On. Monica Baldi

Nel 40° Anniversario dell’Università della Pace delle Nazioni Unite, ritengo sia importante fare un quadro della situazione e conoscere il pensiero di personalità impegnate a promuovere la pace, i diritti umani e il dialogo tra le civiltà. Esprimo i miei più vivi apprezzamenti per l’iniziativa e gli auguri, di ancora più grandi successi, al Rettore Dr. Francisco Rojas Aravena, al Cancelliere H.E. Mr. Enrique Barón Crespo e all’Ambasciatore David Fernandez Puyana che sta coordinando con la redazione.

UPEACE è considerata un luogo d’istruzione unico nel suo genere, vera eccellenza al servizio della pace, con programmi formativi, basati sulla solidarietà, il dialogo interculturale e la coesistenza pacifica, concentrati su ambiente, sviluppo, pace, conflitto e diritto internazionale. Con grande lungimiranza, ha collegato sedi universitarie disseminate in tutto il mondo e ha stipulato accordi rilevanti come quello dello scorso anno con la Pontificia Università Lateranense per la formazione di operatori per la Pace.

Quest’anno, celebriamo il 75° Anniversario delle Nazioni Unite: l’organizzazione, nata a seguito delle devastanti conseguenze della seconda guerra mondiale, fondata sulla condivisione dei valori di libertà, pace e democrazia, che ha contribuito alla soluzione di conflitti internazionali. Negli anni, le Nazioni Unite hanno organizzato e diretto complesse operazioni di cooperazione multilaterale per raggiungere la pace e la stabilità in aree di crisi, nel rispetto dello stato di diritto e della dignità della persona, riuscendo a gestire articolate assistenze umanitarie, anche là dove sono avvenute terribili catastrofi naturali.

In questi anni, l’ONU ha contribuito a diffondere una cultura globale della legalità e dei diritti umani, pace e sicurezza, divenendo un riferimento essenziale per la Comunità Internazionale, che ha creduto nei principi ispiratori della Carta, che sono, anche, alla base dell’Unione Europea, nata 70 anni fa con la dichiarazione di Robert Schumann.

La cooperazione e la solidarietà sono fondamentali per affrontare crisi che ci coinvolgono tutti, come: il cambiamento climatico, gli attacchi informatici e soprattutto sconfiggere la terribile pandemia Covid-19, diventata una sfida scientifica e una vera e propria prova di resilienza.

Per raggiungere risultati positivi, è necessaria una cooperazione internazionale e intersettoriale che incoraggi una azione condivisa collettiva. L’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 ne sono i migliori esempi concreti.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile nasce con lo scopo ambizioso di trasformare il nostro mondo. È un programma d’azione basato sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che mira a completare quanto non realizzato, tenendo conto delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: dimensione economica, sociale ed ambientale.

Essa si fonda su uno spirito di rafforzata solidarietà globale e mira a realizzare pienamente i diritti umani, a rispettare l’uguaglianza di genere, a rafforzare la pace universale, a combattere la povertà, a proteggere il pianeta dal degrado con interventi in aree di importanza cruciale per l’umanità.

Certamente, con regole e principi condivisi, possiamo rendere gli Stati più sicuri, permettendo a tutti di vivere in pace e libertà, salvaguardando il nostro patrimonio economico, culturale e ambientale.

L’Articolo 6 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) propone la necessità di attuare: Sebbene la politica in ambito culturale sia, in linea di principio, materia spettante ai singoli Stati membri dell’Unione europea, l’articolo 6 TFUE stabilisce che l’UE possa intervenire nel suddetto ambito al fine di assistere, coordinare e integrare l’azione degli Stati membri.

Il tema della cultura è da considerarsi centrale nell’azione della diplomazia.

Si racconta che Jean Monnet, a chi gli chiedesse del processo d’integrazione europea, affermasse: “se dovessi ricominciare, comincerei questa volta dalla cultura”.

Nel corso della storia è ingente il contributo culturale europeo che ha caratterizzato numerosi territori oltre i confini del Vecchio continente e che ha consentito, a tanti paesi nel mondo, di avviare importanti processi di sviluppo e di crescita. Le identità di molte Nazioni sono state influenzate, con beni tangibili e intangibili, come: arte, musica, architettura, costumi, letteratura, scienza, tecnologia, sport, gastronomia, artigianato. Proprio tutti questi aspetti, che caratterizzano le singole eredità culturali, vengono messe in correlazione tra di loro nella “diplomazia culturale”, che è annoverata come quell’arte su cui si basano azioni finalizzate allo scambio di progetti, di idee, di tradizioni come ben sapevano i numerosi artisti, insegnanti, commercianti, scienziati, viaggiatori ed esploratori.

La diplomazia culturale, promuovendo il dialogo interculturale, intende valorizzare le interrelazioni sovrannazionali per costruire strumenti di cooperazione socio-culturale e rafforzare anche gli interessi politici ed economici di una Nazione.

La diplomazia culturale ha, inoltre, il compito di apprendere, condividere e rispettare le diverse ideologie, nonché di realizzare processi di dialogo nel rispetto e nel riconoscimento delle diversità, della giustizia, delle uguaglianze, dell’equità e di costruire programmi per la salvaguardia dei diritti umani e per la stabilità delle comunità.

Per questi e tanti altri motivi la Diplomazia Culturale riveste un ruolo strategico nei programmi di solidarietà e di condivisione, risultando essere una componente fondamentale all’interno, anche, dei più complessi processi diplomatici e governativi.

L’arte del dialogo – attraverso il linguaggio universale della pittura, della scultura, dell’architettura, della fotografia, della scrittura, della musica, della scienza, dello sport – è alla base di grandi progetti di diplomazia e di solidarietà.

L’uso del termine diplomazia culturale è piuttosto recente, sebbene questa forma di soft power esista da secoli, tanto che esploratori, viaggiatori, commercianti, insegnanti e artisti, che hanno portato la loro cultura in giro per il mondo, possono essere considerati degli esempi viventi di primi “diplomatici culturali”.

In effetti l’istituzione di rotte commerciali regolari ha consentito, in passato (e lo consente ancora oggi), uno scambio frequente di informazioni ed espressioni culturali, sia tra gli stessi commercianti che tra i rappresentanti del governo.

Le interazioni tra popoli, lo scambio di lingue, le idee, le arti e le strutture sociali hanno migliorato, nel corso della storia, le relazioni tra gruppi divergenti e, tutto ciò, ha fatto sì che la diplomazia culturale, prima relegata ai margini della disciplina delle relazioni internazionali, potesse affermarsi come teoria e pratica autonoma.

Quindi, la diplomazia culturale rappresenta un’azione fondamentale della politica internazionale, considerando che la cultura permette di esercitare un soft-power, non soltanto dal punto di vista valoriale, ma anche economico e commerciale.

Questa “eccellenza” contribuisce alla crescita dei cittadini, favorendo le relazioni interculturali fra i diversi paesi e continenti, attraverso il rafforzamento, lo sviluppo e la diversificazione della reciproca collaborazione.

La cooperazione diventa più incisiva e profonda, specie in relazione alla tutela del patrimonio culturale e ambientale, considerando anche l’importanza di coinvolgere i rispettivi enti e istituzioni che operano sul territorio. Il dialogo diventa fondamentale per stabilire relazioni e attività formative e scientifiche – con scambi di know-how su nuove tecniche, come per esempio nel restauro e nella conservazione – basate sulla salvaguardia della pace.

La ricchezza del patrimonio culturale è un fattore comune a molti paesi, come è evidente nella storia degli Stati latino-americani.

La storia di ogni popolo è definita da conflitti interni e internazionali.

La caratteristica che accomuna ogni conflitto armato è, piuttosto, il sommarsi dei danni al patrimonio culturale, artistico, architettonico e ambientale, procurati alle popolazioni che devono sopportare conseguenze tragiche che vengono, ora, rigorosamente valutate dagli organismi deputati alla tutela dei diritti umani, dei beni culturali ed ambientali a rischio.

La distruzione delle testimonianze culturali è una strategia, in totale violazione del Diritto Internazionale Umanitario, che mira al completo annientamento dell’avversario, attraverso la completa cancellazione di tutti quegli elementi che costruiscono la sua identità culturale, religiosa e sociale.

Le gravi violazioni di attacchi contro i Beni Culturali possono essere considerate: reati nazionali e internazionali, crimini di guerra o crimini contro l’umanità.

Numerosi sono i trattati internazionali e le norme che sono alla base del Diritto Internazionale Umanitario i cui principi generali governano le decisioni nell’ambito delle operazioni militari. Fondamentale è la distinzione tra beni civili e obiettivi militari, che si basa sui principi di umanità, distinzione, proporzionalità, precauzione, limitazione dei mezzi e metodi di combattimento. Il DIU (Diritto Internazionale Umanitario) definisce regole che proteggono sia le persone che i beni coinvolti nel conflitto.

È con la seconda guerra mondiale che si prende consapevolezza dell’importanza del patrimonio culturale, tanto che fu attuata un’azione imponente e capillare di messa in sicurezza delle opere e dei siti storici e, i governi alleati con la dichiarazione di Londra, del gennaio 1943, dichiararono interdetta: “ogni rapina di opere d’arte e di scienza”.

Ben tre secoli fa, a Firenze, l’Elettrice Palatina fu antesignana di quel concetto, poi consacrato dalla legislazione in tempi piuttosto recenti, per il quale la valorizzazione, conservazione, tutela di un’opera d’arte non possono prescindere dalla sua giusta contestualizzazione e dalla fruibilità di un vasto pubblico.

Il grande merito dell’Elettrice Palatina, Anna Maria Luisa de’ Medici – l’ultima discendente del ramo granducale della casata regnante – sta nella stesura di un atto giuridico, il cosiddetto “Patto di Famiglia”, stipulato a Vienna con gli Asburgo-Lorena nel 1737, con cui vincolò al Granducato di Toscana, tutto il complesso dei beni che facevano parte della immensa e straordinaria collezione medicea accumulata nei secoli dalla sua famiglia.

« […] o levare fuori della Capitale e dello Stato del Granducato, Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose, della successione del Serenissimo GranDuca, affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri. »

Si deve infatti alla sua mente illuminata, alla sua intuizione lungimirante, alla sua devozione per l’arte e alla sua sconfinata saggezza la valorizzazione e permanenza a Firenze di un patrimonio culturale, storico e artistico senza uguali.

Per inciso, la stessa Costituzione italiana (in vigore dal 1948) all’art. 9 recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

La protezione dei beni culturali, oggi, è definita da convenzioni, protocolli e trattati, tenendo conto che: “gli attentati perpetrati verso i beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono attentati al patrimonio culturale dell’umanità”.

I beni culturali sono protetti sia in virtù della loro natura civile e perché facenti parte del patrimonio culturale e spirituale dei popoli. Con la protezione dei beni culturali si intende proteggere i monumenti e manufatti, la memoria e le identità collettive e individuali.

Purtroppo recentemente, i conflitti sia di natura strategica che ideologica, per generare un forte impatto emotivo, distruggono i Beni Culturali, quale simbolo di memoria storica, considerati oggetto di pulizia etnica intesa ad annientare emblemi che costituiscono il patrimonio che rappresenta l’identità più profonda di un popolo.

Il terribile attacco alle Torri Gemelli a New York nel 2001 è stato spaventoso, sia per le tantissime vittime, sia per gli enormi danni subiti, sia per la distruzione di un simbolo riconosciuto in tutto il mondo.

Per tutto ciò, i beni artistici, religiosi e monumentali, sono sempre stati tra le “vittime privilegiate” nel corso della storia dei conflitti armati. Basti pensare all’ingente patrimonio culturale distrutto dall’ISIS, con l’annientamento di siti antichi irripetibili come Palmira, Ninive, Mosul, Aleppo.

Alcune distruzioni avvengono per ragioni strategiche, considerando le caratteristiche delle costruzioni utili in tempo di guerra, come l’Abbazia di Montecassino, in Italia, la Biblioteca di Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, e il Vecchio Ponte di Mostar, in Bosnia, il cui abbattimento è stato definito “crimine contro l’umanità”. Il ponte fungeva da unione tra la sponda cristiana e quella musulmana sul fiume Neretva e veniva considerato dalle fazioni, quella serba e quella croata, un simbolo e una parte integrante della cultura bosniaca, unita e multietnica, da smantellare in quanto tale.

Durante la seconda guerra del Golfo fu incendiata la Biblioteca Nazionale e l’Archivio di Stato, che custodivano l’identità nazionale del popolo iracheno, unitamente al Museo di Baghdad, che fu depredato di migliaia e migliaia di manufatti, adesso in gran parte recuperati dal mercato illegale.

Negli ultimi anni è stata compiuta una vera e propria mattanza di tesori mondiali dell’arte.

Con la distruzione di città, modelli di cultura e commercio, si vogliono annientare i simboli secolari di coesistenza pacifica tra diverse etnie, religioni, ideologie e nazionalità.

Purtroppo le violazioni contro i beni culturali, le devastazioni ed i saccheggi non sono cessati e, negli ultimi decenni, si è assistito ad una preoccupante proliferazione di

violazioni degli obblighi internazionali con la distruzione sistematica, o il danneggiamento, anche, di diversi siti iscritti nella Lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.

L’UNESCO contribuisce, da sempre, al “mantenimento della pace e della sicurezza, rafforzando, con l’educazione, le scienze e la cultura, la collaborazione tra le nazioni, allo scopo di garantire il rispetto universale della giustizia, della legge, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a profitto di tutti, senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione, e che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli”.

I Beni Culturali sono definiti come:

Nell’evoluzione del diritto e del concetto stesso di Bene Culturale, dal 1902 ad oggi, molto ha contribuito la Convenzione dell’Aja, del 14 maggio 1954, accompagnata da un Regolamento e un Protocollo Aggiuntivo, frutto delle tristi esperienze delle seconda guerra mondiale. La convenzione istituisce due modelli di protezione: la protezione generale, concessa a tutti i beni culturali non militari, e la protezione speciale, concessa a un limitato numero di beni culturali di grande importanza registrati in un apposito elenco, nonché a rifugi permanenti destinati ad accogliere beni culturali mobili in occasione di un conflitto.

Nella Convenzione emerge per la prima volta il concetto di “patrimonio culturale universale” in quanto, come si legge nello stesso prologo: i danni arrecati ai beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono danno al patrimonio culturale dell’umanità intera, poiché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale. Si è dunque passati dal concetto di tutela del patrimonio inteso come bene comune (nazionale) a quello più ampio di patrimonio mondiale, istituendo inoltre un principio di reciprocità nella salvaguardia dei beni. E lo “Scudo Blu” è il simbolo scelto, nel 1954 dalla suddetta Convenzione, per rappresentare gli elementi del patrimonio culturale da salvaguardare in caso di conflitto armato. Perciò, a difesa dei Beni Culturali, vengono promosse azioni di protezione, prevenzione e sicurezza in tutte le situazioni rischiose, come i conflitti armati e le calamità naturali, coordinate dal Comitato Internazionale dello Scudo Blu, ICBS (International Committee of the Blue Shield), che unifica le competenze, l’esperienza e le reti internazionali specializzate. L’ICBS fu istituito, nel 1996, inizialmente dalle quattro organizzazioni non governative: ICA (International Council of Archives), ICOM (International Council of Museums), ICOMOS (International Council on Monuments and Sites), IFLA (International Federation of Library Associations) che rappresenta anche archivi e biblioteche. Nel 2005 si è aggiunta anche CCAAA (Co-ordinating Council of Audiovisual Archives Associations). Queste organizzazioni raccolgono un insieme di professionalità in materia di consulenza e assistenza in occasione di eventi, come: la guerra nell’ex Iugoslavia o in Afghanistan, i devastanti uragani in America centrale, e, i terremoti in Estremo Oriente. L’ICBS è un’organizzazione internazionale, indipendente e professionale che si propone, appunto, il coordinamento delle azioni di protezione, prevenzione e sicurezza dei beni culturali in tutte le situazioni di rischio, compresi i conflitti armati. Lo “Scudo Blu” (Blue Shield) è diventato un esempio significativo in materia di gestione dei rischi in caso di catastrofi naturali, riunendo le esperienze di diverse professionalità e istituzioni del settore culturale, collaborando con le autorità militari e i servizi d’emergenza.

Ma l’insufficienza dei risultati conseguiti nell’applicazione della Convenzione dell’Aja del 1954 condusse all’adozione, nel marzo 1999, di un Secondo Protocollo, che ha creato un nuovo modello di protezione: la protezione rinforzata. Anche per questo modello esiste un registro, ma le procedure sono più semplici, basate sul silenzio-assenso e senza alcun contrassegno specifico.

Nel 2009 il Consiglio dell’Unione Europea ha inserito la conservazione del patrimonio culturale tra i temi per i quali è necessario coordinare i programmi di ricerca degli Stati membri. E, nel 2018, il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea istituirono “l’Anno europeo del patrimonio culturale (European Year of Cultural Heritage)”, La protezione del patrimonio culturale nelle aree di crisi e la lotta al traffico illecito di opere d’arte sono state anche fra le priorità della prima Ministeriale Cultura del G7, svoltosi il 30 e 31 marzo 2017 a Firenze. Ed è stata proprio in quell’occasione che, con riferimento all’iniziativa Unesco “Unite4Heritage”, l’Italia ha proposto la costituzione di una Task Force per proteggere il patrimonio artistico mondiale con la creazione dei “Caschi Blu della Cultura”, ovvero un gruppo di pronto intervento con personale altamente specializzato misto, civile e militare, composto da un primo nucleo di carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, storici dell’arte, studiosi e restauratori. Il loro compito consiste nel valutare i rischi e i danni al patrimonio culturale, studiare piani d’azione e misure urgenti, realizzare corsi di formazione al personale locale, fornire assistenza al trasferimento di oggetti mobili in rifugi di sicurezza e rafforzare la lotta contro il saccheggio e il traffico illecito di beni culturali. Considerando che la “Global Coalition Unite4Heritage” è l’iniziativa creata dall’UNESCO – nel giugno 2015 in occasione della 39ma sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale – per sensibilizzare gli Stati membri dell’Organizzazione a valorizzare e tutelare il patrimonio culturale, proteggendolo dai danni in zone di guerra, e per educare i giovani di tutto il mondo a preservare la cultura come strumento di integrazione, crescita e sviluppo sostenibile. Tenendo conto che il Comando italiano “Tutela Patrimonio Carabinieri” è stato scelto quale prima forza di polizia a ordinamento militare al mondo, specializzata nella protezione del patrimonio storico, artistico e dei beni culturali, grazie alla sua notevole esperienza e capacità investigativa ineguagliabile, sia all’estero che sul territorio nazionale.

E proprio alla vigilia del G7 Cultura, il 25 marzo 2017, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato all’unanimità la risoluzione 2347, presentata da Italia e Francia, avvalendosi dell’importante contributo tecnico dell’Arma dei Carabinieri in qualità di “Caschi Blu della Cultura”, destinata alla tutela del patrimonio culturale a rischio nelle situazioni di conflitto armato. Questa è la prima risoluzione, focalizzata esclusivamente sul patrimonio culturale, che condanna la distruzione e il saccheggio di siti archeologici, musei, archivi, biblioteche e il contrabbando di reperti attraverso il quale si finanzia il terrorismo internazionale. Essa incoraggia gli Stati a cooperare e a rafforzare le modalità operative messe in atto dalle precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e accoglie, inoltre, la richiesta di prevedere, quando richiesto, una componente culturale in seno alle missioni ONU di peacekeeping.

Nel novembre 2017, la Presidenza dell’Italia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fu impostata su “Building peace for tomorrow”, basandosi su un approccio integrato civile-militare. Fra le priorità furono indicate misure appropriate per la salvaguardia del patrimonio culturale al fine di proteggere la diversità culturale e i simboli storici, emblemi delle differenti identità, che vengono barbaramente distrutti in aree di crisi. L’intendimento era quello di promuovere e includere misure efficaci per la protezione del patrimonio culturale, ostacolando il traffico di antichità nel mandato di mantenimento della pace.

Nel 2007, abbiamo costituito un Comitato, per far conoscere sia il lavoro svolto dagli operatori civili che quello svolto dai militari e carabinieri, impegnati nelle missioni internazionali per la tutela dei Beni Archeologici e Culturali in zone di crisi.

Il Comitato – formato, oltre che dalla sottoscritta, dallo scomparso Prof. Giovanni Pettinato, dalla Dottoressa Silvia Chiodi e dal luogotenente CC Renato Spedicato con il sostegno dell’On Gerardo Bianco – ha organizzato una serie di conferenze, in Italia, terminate con la pubblicazione del libro ebook “beni culturali e conflitti armati, catastrofi naturali e disastri ambientali le sfide e i progetti tra guerra, terrorismo, genocidi, criminalità organizzata”. L’impegno, del suddetto Comitato, si è focalizzato nel far riflettere le Istituzioni e la Comunità Internazionale sull’importanza della cooperazione civile-militare, nell’ambito della tutela dello straordinario patrimonio culturale, che rischia di essere in maggior misura disperso nelle zone di conflitto. Dai diversi incontri, è emerso che diventa necessario studiare apposite azioni e norme per la tutela del patrimonio culturale nelle zone di crisi, seguendo un “Codice Etico”, che dovrebbe essere la guida fondamentale per sviluppare la collaborazione tra le stesse istituzioni e la società civile, al fine di creare una rete di intervento coordinata nel rispetto delle reciproche e diverse specializzazioni e competenze.

Il modus operandi delle forze armate nei cosiddetti “teatri di guerra” dovrebbe tener conto delle sensibilità locali e delle situazioni difficili vissute dalle comunità indigene ferite.

Il rispetto delle identità e delle eredità culturali e religiose delle comunità coinvolte nelle tragedie belliche costituisce un elemento qualificante dell’approccio a questo genere di missioni che include, oltre agli usuali impegni su questioni strettamente umanitarie, anche interventi sul patrimonio culturale. Tutto ciò permette di recuperare capolavori danneggiati e contribuisce al ripristino di condizioni di pacifica convivenza fra comunità diverse e divise, spesso, da conflitti plurisecolari.

Una politica di ricostruzione del processo di democrazia e di pace, oltre che con le missioni militari, è possibile se si utilizzano strumenti appropriati e coerenti con quelli operativi internazionali. Una vera politica di ricostruzione deve adoperarsi per rimuovere le “cause strutturali” prodotte dall’attuale modello di sviluppo, capace di aumentare le disuguaglianze e ridurre in miseria milioni e milioni di persone, quali: regole del commercio inique, processi di mercificazione e di privatizzazione dei beni comuni, spese militari, processi economici, devastazione delle risorse naturali, questione del debito.

Il recupero e la salvaguardia del patrimonio culturale, quale testimone della propria storia, civiltà, cultura, identità e tradizione, è uno dei terreni più fertili e innovativi e i beni culturali, se ben conservati e valorizzati, possono essere un’importante risorsa economica e sociale, oltre che fondamento per la democrazia. È, però, necessario lavorare in cooperazione fra mondo politico, diplomatico, culturale, universitario, militare e civile.

Bisognerebbe raggruppare, in modo più coeso e coerente, le diverse iniziative in materia, organizzando un programma formativo internazionale, considerando i profili professionali esistenti nei diversi paesi, per dotare i futuri operatori delle competenze e degli strumenti necessari a operare in questo specifico settore del patrimonio culturale, strettamente connesso ai delicati rapporti internazionali, al dialogo interculturale e all’integrazione sociale, che rappresenta una straordinaria sfida per il nostro presente e per il nostro futuro.

Ritengo che si possa fare molto per prevenire e risolvere i conflitti, se si conoscono storia e cultura delle aree di crisi. In tal senso, il ruolo svolto con passione e professionalità dagli studiosi, unitamente ai militari italiani e ai carabinieri, è stato importante nell’Iraq meridionale perché, oltre al ritrovamento di un rilevante patrimonio archeologico, è stata realizzata, per la prima volta, la mappatura dei siti archeologici identificando i luoghi a rischio saccheggio. Oltre al contributo alla sicurezza e il ripristino della democrazia, è necessario lavorare alla ricostruzione e alla tutela del patrimonio culturale, nella convinzione che il processo democratico debba investire di più sulla cultura e sulla cooperazione civile-militare nelle missioni internazionali. Solo così è possibile porre le basi per attuare la salvaguardia del patrimonio di luoghi significativi, custodi delle più grandi e antiche civiltà al mondo.

Non sarebbe, infatti, possibile contribuire alla ricostruzione di un paese senza proteggere le testimonianze delle sue radici storiche e culturali. È inscindibile il legame tra protezione del patrimonio culturale e mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Nella storia, numerose sono le città distrutte dai conflitti e dalle catastrofi naturali ed è grazie all’arte e all’architettura che proviamo una profonda commozione nel ricordare le tragiche vicende.

Molti gli architetti e gli artisti che hanno dedicato luoghi e opere alla pace: sia per denunciarne la violazione, sia per sostenere il desiderio dell’umanità, sia per ammonire a non ripetere più i tragici errori del passato, e sia per dare voce a una speranza eterna.

Diverse e commemoranti le opere e i luoghi inneggianti alla pace di noti architetti:

  • Kenzo Tange ha progettato il Centro per la Pace a Hiroshima, Giappone, (1949-55).
  • Le Corbusier – con 17 opere inserite tra i Patrimoni Mondiali dell’Umanità dall’UNESCO – ha realizzato a Chandigarh, nel Punjab (India) nel 1952, “La Main Ouverte”: opera di grande respiro ideata in occasione della progettazione del piano urbanistico della nuova capitale, divenuta il simbolo della città.
  • Josep Luis Sert ha realizzato la Cappella della Pace nel convento Carmelitano a Mazille (1968-71), e il padiglione della Repubblica spagnola all’Esposizione Universale di Parigi del 1937, con Guernica di Picasso e opere di Miró e Calder.
  • Tadao Andō – noto per il concetto di solidità e leggerezza nei luoghi di pace – ha concepito, nel 1995, lo Spazio della Meditazione nella sede dell’Unesco a Parigi utilizzando il granito irradiato di Hiroshima.
  • Mario Botta, in Italia, ha progettato il Piazzale della Pace: una grande area verde delimitata dai Palazzi nel centro storico di Parma (1996-2001).

Altresì, la pace, nell’arte di pittori e scultori, crea forti e intime emozioni, specialmente, quando sublimano il proprio dolore nelle opere che testimoniano l’insensatezza della violenza umana:

  • Costantino Nivola ha creato il monumento “L’uomo di Pace”, a Città del Messico in occasione delle Olimpiadi del 1968: un’opera con all’apice una colomba simbolo della pace.
  • Mark Rothko ha dipinto la Cappella Ecumenica a Houston e, nel credere al potere dell’arte sulla pace, esponeva alla Pace Gallery.
  • Sir Pieter Paul Rubens, considerato il pittore al servizio della pace, in qualità di Diplomatico, partecipò a numerose missioni per riuscire a raggiungere alla pace delle Fiandre. Noto il suo dipinto “L’Allegoria della Pace” (1629-1630) dove la Pace, personificata dalla donna al centro, elargisce i suoi generosi doni. Altresì di grande qualità pittorica il quadro “Le Conseguenze della guerra” (1637-1638).
  • Marc Chagall, pittore bielorusso di origine ebraica naturalizzato francese, ha realizzato nel 1964, nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York, la “Peace Window”: una vetrata che è inno alla pace universale. Nel 1962, con uno straordinario gioco di luce, è riuscito a rendere in movimento le vetrate eseguite per l’ospedale Hadassah Ein Kerem a Gerusalemme. Alcune sue opere sono al “Musée National Message Biblique Marc Chagall” di Nizza. Per la sua attività in favore della pace, a Parigi nel 2013, è stata organizzata la mostra “Guerra e Pace”.
  • Pablo Picasso, l’artista spagnolo noto per Guernica: il dipinto che rappresenta il drammatico attacco aereo che rase al suolo la città basca il 26 aprile 1937. Questa “Icona di Pace” con la potenza evocativa del suo messaggio quale “urlo infinito contro la guerra” è esposta al Centro de Arte Reina Sofia di Madrid; mentre il corrispondente arazzo (del 1955) è collocato sulla parete all’ingresso del salone del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Francia ha dedicato all’artista il “Musée National Pablo Picasso Chapelle La Guerre et la Paix” a Vallauris (1950/52-53).
  • Sofía Gandarias, pittrice basca, dipinge il grande Trittico Gernika (1998-99) rivisitando i simboli con grande potenza innovativa: mentre Picasso rappresenta la tragica scena con una gradazione di grigi, Gandarias, nella luminosità diffusa dell’ombra, usa dei toni di rosso, di cui si percepiscono le angosce nelle vibrazioni della stesura cromatica densa e scura, segnando la tragica scena con la testimonianza di architetture umane.
    Entrambi gli artisti dipingono su tele di grandi dimensioni che rappresentano, secondo le più profonde convinzioni etiche, l’impegno diretto nelle scelte democratiche e civili.

Il valore universale della pace è il comune denominatore di queste opere artistiche e architettoniche. Senza pace e stabilità non si può né ricostruire la reputazione di una Nazione, né riaprire dialoghi geopolitici interrotti, né realizzare progetti di riconciliazione in aree di post-conflitto. Per ricostruire le città, diventa necessario progettare spazi pubblici, che abbraccino la diversità, nel benessere equo e sostenibile, e far sì che i cittadini, urbani o rurali, di culture e religioni diverse, possano interagire e convivere pacificamente.

C’è ancora molto da fare affinché la diplomazia culturale diventi un solido pilastro della politica estera, nonostante il suo ruolo strategico di soft power. E l’attività governativa non può esistere senza il settore privato, che svolge un ruolo chiave, considerando che il governo non crea cultura, ma si limita a farla conoscere all’esterno e a definire l’impatto di tale azione sulle politiche nazionali.

La diplomazia culturale deve essere intesa come scambio bilaterale, dove lo scopo principale è quello di favorire la comprensione reciproca e il sostegno tra paesi diversi.

Non dobbiamo mai dimenticarci che il patrimonio culturale appartiene alla collettività e abbiamo il dovere di trasmetterlo alla future generazioni.

E proprio in questo anno particolare, per promuovere i valori universali nel mondo attraverso la Cultura e le Arti – unitamente al Presidente Enrique Barón Crespo, al Maestro Andrea Ceccomori e alla Dottoressa Anna Rüdeberg – abbiamo dato vita al progetto Ars Pace, con l’obiettivo principale di ristabilire equilibrio e armonia, adottando un vero e proprio dialogo di pace attraverso il linguaggio della musica, dell’arte, dell’architettura, della cultura, della scienza e dell’economia; affrontando temi quali: beni culturali e attività formativa; musica e identità; ambiente e territorio; politica e sviluppo, operatori di pace e zone di crisi; integrazione e accoglienza.

Intendiamo, così, contribuire al primario scopo di peace-building – tenendo conto dei delicati rapporti internazionali, del dialogo interculturale e dell’integrazione sociale – con l’organizzazione di concerti, conferenze, seminari, incontri, mostre, corsi e borse di studio.

Il nostro logo, acronimo di ars pace, rappresenta la libellula quale simbolo di libertà, pace, equilibrio, consapevolezza, trasformazione nella mutevolezza della vita; insegna ad andare oltre le apparenze, incoraggiandoci a trovare la propria identità, ad affermare la nostra personalità e a trovare la libertà nella pace.

Libro “Promoting peace, human rights and dialogue among civilizations” – UPEACE 2020

Foto: “La Main Ouverte” Chandigarh Le Corbusier (1950-1965)

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